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Morosini: si muore anche per ignoranza

Ad un anno  dalla tragica scomparsa di Piermario Morosini,concluse le indagini e le perizie, si sa finalmente che cosa successe quell tragico pomeriggio in campo, perché si sentì male e come mai non sopravvisse.

Ed ora sembrano  chiare le responsabilità di chi, per ignoranza o malafede, non sta certo  a noi dirlo, operò le manovre di rianimazione senza utilizzare il DAE che era a disposizione, segnando, di fatto, il destino del calciatore.

I periti hanno tratto le loro conclusioni.

E le stesse conclusioni le avevamo accennate, subito dopo la tragedia, sul nostro sito. Ma fummo accusati di sterile polemica e di “dare addosso” ai colleghi che si trovavano su quel campo quel giorno. Eppure…

Eppure avevamo ragione.

Ma l’avere ragione non ci consola, dal momento che in questo anno, nonostante gli sforzi quotidiani nostri e di altre associazioni, la campagna dei DAE si muove nella palude dell’ignoranza e dell’indifferenza.

Negli oltre 100 corsi BLSD che abbiamo tenuto, formando oltre 4000 “first responders” pochissimi sono stati i Medici che vi hanno partecipato: pochissimi Medici sanno a tutt’oggi come funzioni un DAE e quali meravigliose percentuali di sopravvivenza si ottengano.

Predomina quindi ancora l’ignoranza, intesa non come offesa, ma come mancanza di conoscenza e mancanza anche della voglia di conoscere.

Negli ultimi 6 anni sono stati 500 i ragazzi, anche giovanissimi, fulminati dalla morte improvvisa sui campetti, nelle palestre, nelle maratone e durante le corse ciclistiche.

Sono ancora 70.000 le morti l’anno in Italia per morte improvvisa, 200 al giorno, una ogni sette minuti. OLtre la meta’ potrebbe essere salvata dai defibrillatori semiautomatici pubblici.

E quindi , credeteci, non è una vittoria di cui gioire, questa.

E’ una vittoria senza vincitori, una vittoria in cui ha trionfato solo la morte.

Speriamo serva ad evitare, nel futuro, che altri Morosini abbiano la stessa, tragica sorte.

 

morosiniMorosini, l’accusa dei periti del tribunale di Pescara: “Il defibrillatore doveva essere usato

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LIVORNO – La morte di Morosini è ancora una ferita aperta nel cuore di tutti i tifosi, amaranto e no. Il presidente Spinelli lo ricorda sempre con un affetto e non smette mai di dedicargli ogni successo della sua squadra. Eppure sulla sua morte c’è ancora un grande punto interrogativo: Morosini poteva salvarsi se fosse stato usato il defibrillatore? A dare una risposta ci ha pensato la perizia dei tre consulenti nominati dal gip del tribunale di Pescara Maria Michela Di Fine. Ricordiamo che per l’accaduto sono indagati il medico sociale del Livorno Manlio Porcellini, quello del Pescara Ernesto Sabatini, il medico del 118 in servizio quel giorno allo stadio, Vito Molfese, e il cardiologo Leonardo Paloscia, direttore dell’Unità Coronarica e Cardiologia, presente allo stadio come tifoso.

Il resoconto – I tre periti avevano ricevuto l’incarico il 9 novembre nel corso dell’incidente probatorio. “La causa della morte, nel caso di specie, è individuabile nella certezza che Morosini fosse affetto da cardiomiopatia aritmogena con interessamento prevalente del ventricolo sinistro; pertanto, il decesso di Piermario Morosini – dicono i periti – è inquadrabile come una morte improvvisa cardiaca aritmica, secondaria alla cardiomiopatia aritmogena da cui era affetto, precipitata dallo sforzo fisico intenso”.

“ Tutti i membri della equipe medica – scrivono i periti Vittorio Fineschi, Francesco Della Corte e Riccardo Cappato – hanno omesso di impiegare il defibrillatore semi – automatico esterno, già disponibile a lato della vittima pochi secondi dopo il collasso di Morosini (dopo circa 25 secondi). Ciascuno dei medici intervenuti è chiamato a detenere , nel proprio patrimonio di conoscenza professionale, il valore insostituibile del defibrillatore semi-automatico nella diagnosi del ritmo sottostante e, in caso di fibrillazione ventricolare, il valore cruciale nell’influenzare le chance di sopravvivenza della vittima di collasso“.
L’accusa al medico del Pescara – I periti prendono in esame i singoli comportamenti “e la valenza causale dell’inefficace assistenza fornita, in termini di rilevanza causale”. Per quanto riguarda il medico sociale del Pescara Ernesto Sabatini i tre consulenti evidenziano che “in qualità di responsabile del soccorso nel campo della squadra ospitante era chiamato a conoscere la disponibilità della strumentazione di soccorso, la sua funzionalità e la modalità di impiego. La assoluta incardinata attività posta in essere da tale sanitario, comunque, dati i tempi di intervento riveste sicura dignità causale nel concretizzarsi dell’exitus di Morosini”.

L’accusa a Porcellini – Relativamente al medico sociale del Livorno Manlio Porcellini “sono riconosciute differenti incongruenze comportamentali, per il ruolo di non ospitante rispetto al medico del Pescara. Tuttavia anche lui avrebbe dovuto ricercare il defibrillatore semi-automatico esterno e,una volta identificatolo, saperlo impiegare immediatamente per gli scopi sopracitati, sfruttando così l’incomparabile opportunità di intervenire precocemente mediante defibrillazione esterna in un momento in cui la probabilità di pieno recupero del circolo cardiovascolare e’ massima. Tale omissione diagnostica – terapeutica, pertanto, riveste ruolo causale nel determinismo dell’exitus di Morosini”.

Le altre accuse – Per i consulenti del gip il medico responsabile del 118 Vito Molfese “ha rivestito il ruolo più delicato ed a lui sono addebitabili i maggiori profili di censurabilità comportamentale. Infatti  si deve a lui riconoscere il ruolo di leader che egli avrebbe dovuto assumere, procedendo immediatamente alla ricostruzione degli atti di soccorso praticati dai colleghi, immediatamente riconoscendo l’assenza di impiego del defibrillatore ed operandone l’impiego ad un tempo in cui una defibrillazione esterna si sarebbe associata ad una probabilità di sopravvivenza ancora piuttosto elevata (circa 60 – 70 per cento)”.
Per quanto riguarda il professor Leonardo Paloscia, intervenuto volontariamente per prestare soccorso al giocatore, i periti evidenziano che “non è parte integrante dell’equipe di soccorso, ma anch’egli omette di richiedere, e successivamente di impiegare, il defibrillatore”.

Da QUI LIVORNO -quotidiano online

Di seguito riportiamo quanto pubblicato sul nostro sito subito dopo la tragedia.

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One Response

  1. Una gran brutta storia. Dalla quale mi pare non si sia imparato granche’.