Chi non riconosce il celebre magazzino dell’altrettanto celebre “Indiana Jones e i predatori dell’Arca perduta”? L’enorme luogo pieno di casse tutte uguali in cui il prezioso reperto, ottenuto con grande fatica, dal protagonista viene dimenticato in mezzo ad altri reperti invece che lasciato (in quel caso saggiamente) a disposizione di tutti. Ecco, potremmo parlare di qualcosa di simile. Che però non è un film di successo, non succede in America, è storia dei giorni nostri e riguarda la vita e la sicurezza di ognuno di noi.
Parliamo del caso dei DAE di Genova, di cui hanno recentemente parlato alcuni giornali anche nazionali.
120 defibrillatori pubblici, pubblici davvero perché acquistati con i finanziamenti nazionali alle Regioni proprio con lo scopo di avviare la cardioprotezione capillare dei luoghi a rischio come circoli sportivi e luoghi di grossa aggregazione, come supermercati, centri commerciali, stazioni, come era stato stabilito dal decreto del 6 Giugno 2011, in cui venivano stanziati 8 milioni di euro da dividersi per regioni. E che la Regione Liguria aveva utilizzato anche per i famosi 120 DAE di Genova di cui dicevamo.
E quindi, vi chiederete anche voi, che cosa ci fanno nel magazzino dell’Arca Perduta? O, meglio, nel magazzino del 118.
Semplice. Non sono stati installati.
Forse, anche voi, a questo punto, vi chiederete perché. Insomma, Genova non è un paesino di 500 abitanti quando ci sono i parenti in visita, è una grande città. Ha uno stadio, una stazione, un aeroporto, dei centri commerciali, scuole e biblioteche. Non era certo un problema trovare 120 location strategiche. Anzi, il problema semmai e’ che di dae ne servirebbero di più.
Leggendo qua e la sui giornali alcune frasi di “scuse” usate per questo fatto ci fanno però intravedere alcune cose che “stonano” decisamente con tutto quello che nel corso degli anni abbiamo, insieme a molti altri amici di altre associazioni, portato avanti.
Innanzitutto strani e falsi preconcetti riguardo al loro posizionamento; pare, per i signori del comune di Genova, che necessitino di colonnine allacciate alla rete elettrica. Per dei Dae con batteria autonoma? Nati proprio per poter essere usati senza rete elettrica? Mah. Chissà che modelli hanno acquistato questi signori, ma noi a cercarne non ne abbiamo trovati che abbiano tale necessità. Nemmeno i sottomodelli più contraffatti possibili.
Altra ragione che ci lascia alquanto perplessi è che il comune richieda che per usare i Dae serva una particolare certificazione, di un particolare corso, svolto solo dal 118.
Va per prima cosa detto che i Dae parlano, ripetendo i comandi fino a che non vengono eseguiti, sono virtualmente utilizzabili da chiunque sappia la lingua italiana, non sia non udente e abbia le mani per poter applicare le piastre.
Quindi già un corso di utilizzo è utile, ma nemmeno strettamente necessario.
Poi esiste una legge universale, quella del “Buon Samaritano” (art 54 del Codice Penale), che afferma che chiunque tenti di aiutare una persona in difficoltà non può essere punito se fallisce. Considerando che, nel caso dell’arresto cardiaco, la sopravvivenza senza defibrillatore è dell’1% viene da pensare che usare il dae anche senza averne mai visto uno non possa che migliorare la prognosi. Più che morto…
E poi, proprio volendo il corso come obbligo di legge, cosa che al momento c’è in Italia, perché autorizzare solo un ente a certificare, ente che peraltro propone corsi a prezzi non del tutto indifferenti, escludendo anche la competenza e la disponibilità non solo di rianimatori volontari e con esperienza, ma anche di medici, cardiologi, urgentisti, anestesisti, che hanno sicuramente conoscenze, capacità e competenza ben superiori?
Noi di Cecchini Cuore da 6 anni spendiamo energie, entusiasmo, tempo e anche mezzi per formare e certificare gratuitamente chi ce lo chieda.
E lo facciamo gratuitamente e con la competenza di un medico e cardiologo con alle spalle 30 anni di esperienza.
Ci chiediamo, non senza preoccupazione, il perche’ di questa rigida posizione che non solo rallenta, come abbiamo visto, la distribuzione dei Dae, ma inibisce e sembra quasi colpevolizzarne l’uso da parte di chiunque si trovi nella necessità di tentare di salvare la vita a qualcuno.
Gli esempi di noti sportivi, in primis Piermario Morosini, di personaggi noti, ma soprattutto dei 70000 anonimi sfortunati che muoiono ogni anno, dei quali molti sono giovani sportivi che si affacciano alla vita, dovrebbero rendere primario l’obiettivo di rendere cardioprotetta la città, non di burocratizzare la solidarietà e l’aiuto verso il prossimo che, di certo, moltissimi vorrebbero essere messi in condizioni di poter dare.
Qui sotto potete trovare il link all’articolo del “secolo XIX” in cui si parla proprio di questo.
http://www.ilsecoloxix.it/p/genova/2013/08/24/AQcW4mC-defibrillatori_in_magazzino.shtml
Un bell’articolo che parla di cose note…burocrazia, ignoranza,
Questo paese non è pronto a “civilizzarsi” a livello sanitario.Si fanno grandi proclami,grandi articoli sulla malasanità e sulla mancanza di risorse,senza avere la minima cognizione di causa di cosa si parla in realtà:quanto realmente “costa” un pz con esiti neurologici importanti post ACC (nel caso sia ripreso)? e se oltre il primario lato umano di salvare una vita e dare dignità ad una esistenza,si guardasse anche il tornaconto?non siamo civilmente pronti ad entrare tra i paesi seri:nei paesi seri i DAE sono in strada,il loro utilizzo è per tutti,senza obblighi di corsi e preparzione(ben vengano i corsi blsd,ma se non ci sono la macchina guida il soccorritore occasionale)da noi è cara grazia se i DAE sono sui mezzi base,snaturando totalmente la filosofia di uso della macchina(quale sarà mai l’utilità di una scarica 8-9-12 minuti dopo l’evento!)e ritrovandosi a spendere denari pubblici per ritrovarsi tra le mani % di sopravvivenza post ACC che sono a dir poco imbarazzanti(ticinocuore con il progetto first responder,con la capillare collocazione dei DAE,con il coordinamento della co144 e dei servizi ambulanze si aggira sul 36% di dimissioni post acc ad esisti neurologici praticamente nulli!).arrendiamoci,questo paese non è maturo abbastanza per comprendere determinati concetti.
Daniele.
Caro Daniele,
quanta serieta’ c’e’ in quanto hai scritto, quanta conoscenza.
Non so chi tu sia, quale sia il tuo titolo di studio, la tua mansione, e non mi interssa assolutamente saperlo.
Mi interessa invece la tua testimonianza sagace, anche cattiva e realistica.
Anche io la penso come te.
Ma solo se persone come te e come me, assieme anche a tante altre riusciremo ad incanalare la nostra rabbia per le vite , per i neuroni persi ogni giorno in coma post anossici, in vite relegate allo stato vegetativo, solo se lettere come le tue ed emozioni forti come le tue potremo farle nostre qualcosa potra’ cambiare.
Non ti avvilire mai. Siamo in tanti come te. Grazie